Sveglia alle 3.45 e partenza, colazione durante la guida con succo e brioches. Dopo una tirata assurda, facilitata dal pochissimo traffico alle 6.10 mi sono unito ai miei amici, che increduli mi hanno accolto con molta allegria e stupore, nessuno di loro avrebbe scommesso un euro sulla mia presenza. Loro avevano appena finito di fare colazione, e stavano preparando gli zaini. Alle sette abbiamo iniziato l'ascesa alla cima dell' Argentera.
Da 1700 metri dovevamo arrivare ai 2430 del rifugio Remondino , prima tappa della nostra ascesa. 2.30 min. di salita su un sentiero abbastanza facile, se non fosse stato per i numerosi pietroni disseminati sul cammino che rendevano difficile prendere un passo regolare. Il sentiero ha una pendenza piuttosto elevata, e fare i 730 metri di dislivello partendo da freddi non è stato facilissimo. I panorami che ci circondavano però rendevano meno faticosa la salita, i raggi del sole che iniziavano a illuminare le cime delle montagne creavano dei giochi di luci e ombre magnifici. Il rifugio è quasi subito visibile dal sentiero, ma non bisogna farsi ingannare, perchè la strada per arrivarci e molta, e quando in qualche punto sembra a portata di mano, ecco che torna ad allontanarsi per via dei valloni che si incontrano salendo. Alle 9.30 finalmente entravamo nel rifugio, tolti i pesanti zaini, ci siamo presi un bel caffe con un bel pezzo di torta. Dopo esserci rinfocillati e riposati un po' siamo ripartiti, questa volta dovevamo arrivare per la seconda tappa al Colle dei Detriti .
Il nome è un programma, in quanto si cammina su un sentiero in fortissima pendenza, e su un terreno sfatto e sdrucciolevole, dove si rischia di fare tre passi avanti e scivolarne per uno indietro. Prima di arrivare a quel tratto però c'era da superare, poco dopo aver lasciato il rifugio, un lungo tratto camminando o saltando (forse e più indicato)su massi (morene) E' come camminare su una scogliera, si salta da un masso all'altro, ed è molto faticoso, anche perche gli zaini sbilanciando il peso non aiutano di certo.
Superato questo tratto abbiamo iniziato il sentiero per il Colle dei Detriti. A metà abbiamo deciso di tagliare a destra, abbandonando il sentiero e facendo un lungo pezzo di arrampicata, che ci avrebbe portato allo stesso livello del Colle, ma un po' più spostati verso destra. La rampicata era in libera, senza sicurezze, ma i numerosi appigli, e la poca pendenza della parete rendevano la salita agevole e sicura. Durante l'ascesa un camoscio sembrava accompagnarci salendo insieme a noi. Ci guardava mentre arrancavamo, mentre lui saliva con una facilità irrisoria.
Arrivati in cima ci si presentava uno scenario veramente splendido, eravamo proprio sullo spartiacque della montagna, da una parte avevamo la Valle della Valletta, lato da dove eravamo saliti, e dall'altra c'era la diga alta di Entraque , uno spettacolo favoloso che sono rimasto a contemplare per alcuni minuti seduto a cavalcioni sullo spartiacque della montagna. Da li abbiamo ripreso la salita verso il Colle dei Detriti. Una mezzoretta di salita abbastanza impegnativa, visto anche che ormai erano gia 5 ore che stavamo camminando e arrampicando.
Giunti sul Colle dei Detriti, ci rimaneva l'ultima parte di ascesa, la più difficile, impegnativa e pericolosa, la salita alla vetta dell'Argentera, che ci sovrastava con i suoi 3294 metri, 194 mt di dislivello ci separavano dalla vetta. Non abbiamo riposato e abbiamo deciso di mangiare in vetta, quindi siamo partiti, subito ho capito che la salita era cambiata, diventando più difficile e impegnativa. Un primo passaggio con la corda mi faceva capire che era pure pericoloso, al secondo tentativo sono riuscito a superare quel tratto, anche grazie all'aiuto di Paolo, che era il più esperto della gita e che chiudeva la fila. Da li niente più corde per assicurarsi, tutti passaggi in libera (cioè senza punti dove assicurarsi con un moschettone) più o meno ripidi e difficili, ma sempre con più di 200 metri di strapiombo sotto di noi. La concentrazione era massima, non potevo nè sbagliare, nè distrarmi per nulla al mondo, strano a dirsi, eravamo li per divertirci, ma uno sbaglio poteva costare carissimo.
A ogni passaggio che superavo tiravo un sospiro di sollievo, ma guardandolo poi da sopra mi prendeva l'ansia pensando che l'avrei dovuto rifare in discesa, cosa ancora più pericolosa. Alessio, aveva desistito, era stanco e non si fidava più a continuare, lo abbiamo preso un po' in giro, ma la sua decisione e stata da grande persona, e più difficile decidere di abbandonare l'impresa intrapresa con tanta fatica, che continuare a rischio di farsi molto male per non fare vedere le proprie debolezze.
Aveva tutto il mio rispetto, perchè so cosa deve essergli costato dentro di se prendere quella decisione, per me è come se in cima a quella montagna fosse salito anche lui. Continuando a salire siamo arrivati all'ultimo tratto, il più impegnativo, quà c'era di nuovo la corda che mi dava un po' più di sicurezza, visto che mi ero portato l'imbrago potevo finalmente usarlo. Siamo saliti uno alla volta, primo perchè la corda era vecchia, secondo perchè il sentiero era talmente stretto che non permetteva di stare a due persone vicine. Primo e partito Andrea, che e riuscito a passare questo tratto senza problemi, poi e stato il mio turno, il primo tratto l'ho fatto bene, ma nel secondo e successo l'imprevisto che non mi aspettavo, c'era un passaggio difficile, non c'erano appoggi per i piedi e bisognava salire stando con i piedi appoggiati alla parete e il corpo quasi orrizzontale rispetto al suolo, tirandosi su a forza di braccia. Ho provato a salire ma sono subito scivolato, il secondo tentativo e finito nella stessa maniera e al terzo sono proprio caduto a terra provocando una pericolosa pioggia di sassi sulle persone dietro di me. Ero assicurato, e come ho detto ero abbastanza tranquillo, ma non riuscivo a salire, la vetta era a 20 mt e io non c'è la facevo a superare quell'ostacolo, avevo quasi deciso di fermarmi lì, non volevo esagerare, se le mie capacità erano quelle, a me andava bene così, per fortuna Paolo che era dietro di me è salito e dopo avermi incoraggiato, mi ha spiegato come fare per superare l'ostacollo. Ritrovata la calma ho riprovato, e questa volta è andata bene, grazie a Paolo ormai la vetta era conquistata. Pochi metri e la croce era davanti a me, c'è l'avevo fatta, ero a 3294 metri, un sogno, stretta di mano con i compagni di arrampicata, Paolo e Andrea, foto di gruppo e poi un piccolo spuntino per ritrovare l'energia per la discesa.
La vista da lassù era eccezionale eravamo più in alto di tutti gli altri monti, e la giornata limpida ci permetteva di avere una visione perfetta di tutto ciò che ci circondava. Però ero preoccupato, c'era la discesa ancora da fare, e per questo motivo non riuscivo a godermi pienamente l'impresa. L'ho iniziata con molta attenzione e rispetto, ho superato bene il tratto che mi aveva messo in difficoltà durante la salità, e quello mi ha dato fiducia. Gli altri passaggi pericolosi gli ho superati molto bene, ero veramente concentratissimo. Senza accorgemene ero di nuovo al Colle dei Detriti dove un "SI" urlato con tutto il fiato e stringendo i pugni mi liberava da tutta la tensione e adrenalina accumulata. Altra sosta per un altro spuntino e poi abbiamo iniziato la discesa sul sentiero che ci ravrebbe riportato al Rifugio Remondino.
Le gambe iniziavano ad essere un po' molli e instabili, erano ormai quasi otto ore che camminavamo, e la discesa contribuiva non poco a dargli il colpo di grazia. Scendere dal Colle dei Detriti equivale a scendere da una scarpata ripidissima e con un terreno friabilissimo dove non si riescono mai a mettere i piedi in punti dove il terreno non sia cedevole. Bisogna continuamente far forza sui quadricipiti femorali per frenare il peso del corpo, a metà discesa non ne potevo più, avevo i muscoli ormai intossicati dall'acido lattico, ormai il mio allenamento da ciclista mi aveva abbandonato, non riuscivo più a frenare il mio peso. Così ho preso la decisione di scendere di corsa, la situazione è migliorata notevolmente, usavo la forza di gravità e frenavo molto meno, una cosa non avevo calcolato, scendendo così gli scarponi sono molto sollecitati, e i miei (nike rcg in pelle) che avevano già alle spalle qualche anno di escursioni non sono riusciti a resistere, infatti il destro nelle vicinanze del rifugio Remondino si è completamente desuolato. Inutile dire che le ultime due ore di discesa sono diventate un calvario, non tanto per il male, sotto la suola aveva resistito lo strato rigido in kevlar che non mi faceva sentire le pietre sotto il piede, ma le scivolate si susseguivano una dopo l'altra. Ultima sosta al rifugio Remondino, e poi avevamo ancora l'ultima ora e mezza per arrivare alle macchine.
Sono stati dei minuti interminabili per me, gambe ormai stanchissime che avevano perso anche coordinazione, una scarpa rotta, scivolate a non finire, ma alla fine eccoci finalmente in fondo, e come ulteriore premio per questa fatica due stambecchi che erano vicinissimi al sentiero ci guardavano scendere, come a volerci salutare e complimentare con noi, sono un po' sognatore, ma mi piace pensarla così. Avevo portato a termine una bella impresa, che per me che alpinista non sono non era facile, e questo mi rendeva ancora più fiero di me stesso e del gruppo con cui ero andato, un gruppo unito e affiatato. Un ultimo sguardo in alto per salutare la vetta dell'Argentera che ci aveva ospitato sulla sua sommità, e poi ritorno a casa, ripensando durante il viaggio alla bellezza di quel posto e alla fatica che ci era costata. Ma mai così tanta fatica era stata più ben ripagata da quello che avevamo vissuto.